comma, e 79).
                              IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Visti  gli  atti  del  procedimento  n. RG 391/94 e R.N.R. 2578/91
 contro Pieri Nazareno, imputato dei reati:
       A) del reato p. e p. dall'art. 20 lett. C) legge n. 47/1985, 81
 c.p.v. del c.p. per avere realizzato senza la prescritta  concessione
 edilizia  la  costruzione  costituita  da  un  p.t. (pilastri in c.a.
 tamponati con mattoni forati e solaio gettato) di  120  mq  circa  in
 c.da  Femmina  Morta,  con piu' azioni esecutive del medesimo disegno
 criminoso, in area vincolata ai sensi della legge n. 431/1985;
       B) p.e.p. dagli artt. 1, 2, 4, 13 e 14 della legge n. 1086/1971
 per avere realizzato la costruzione sopra indicata  al  capo  A)  con
 opere in conglomerato cementizio armato senza il progetto esecutivo e
 la  direzione  di un tecnico abilitato ed avendo omesso di denunciare
 tali opere all'ufficio del genio civile prima del loro inizio;
       C) p.e.p. dagli artt. 17, 18 e 20 della legge  n.  64/1974  per
 avere  realizzato  la  costruzione  sopra indicata al capo A) in zona
 sismica senza preavviso scritto al sindaco e  all'ufficio  del  genio
 civile  e  senza la preventiva autorizzazione scritta di quest'ultimo
 ufficio, in Mazzarino il 1 settembre 1992 e il 5 novembre 1992;
       D) r. p. e p. dall'art. 349 del  c.p.v.  del  c.p.  per  avere,
 nella  qualita' di custode, violato i sigilli apposti da C.C. in data
 12  settembre  1991  al  fine  di   assicurare   l'identita'   e   la
 conservazione dell'immobile di cui al capo A);
       E)  del  r.p.  dall'art. 1-sexies della legge 8 agosto 1985, n.
 431, e p. dall'art. 20, lett. C) della legge 28 febbraio 1985  n.  47
 per  avere  realizzato  la  costruzione  di  cui  al  capo a) in area
 soggetta a vincolo di inedificabilita' ai sensi della "L. Galasso" in
 Gela, fino al 1 febbraio 1992;
    Vista la legge 11 marzo 1953, n. 87, ed in particolare l'art.  23,
 primo, secondo e terzo comma;
    Ritenuto   di   dover   sollevare  anche  d'ufficio  questione  di
 legittimita' costituzionale delle norme di cui all'art. 1, e all'art.
 7,  quattordicesimo  e  quindicesimo  comma,  del  decreto-legge   25
 novembre  1994,  n.  649, e all'art. 38, secondo comma della legge 28
 febbraio 1985, n. 47 nelle  quali  e'  ravvisata:  A)  la  violazione
 dell'art.  79  della Costituzione; B) la violazione dell'art. 3 della
 Costituzione, sotto il duplice profilo della irragionevolezza di tali
 norme e della disparita' di trattamento  che  le  stesse  introducono
 nell'ordinamento,  se  poste in relazione agli art. 9, secondo comma,
 32, primo comma, 41, secondo comma, della Costituzione;
    Ritenuto che le prospettate questioni appaiono tutte  rilevanti  e
 non manifestamente infondate per i seguenti motivi:
                          MOTIVI DI RILEVANZA
    L'imputato   ha  chiesto  che  il  processo  venga  sospeso;  tale
 richiesta rende evidente,  e  processuale,  la  volonta'  di  valersi
 dell'intera   procedura   di   sanatoria  per  ottenere  il  "condono
 edilizio".
    Ne consegue che, come ha gia' stabilito la Corte costituzionale in
 caso identico (sentenza 23-31 marzo 1988, n. 369) divengono rilevanti
 nella specie le questioni di costituzionalita' relative  a  tutte  le
 summenzionate  disposizioni  aventi  forza  di  legge,  che risultano
 intimamente collegate  fra  loro  nell'unico  fine  di  regolamentare
 (esternamente   ed  internamente)  il  meccanismo  procedimentale  di
 sanatoria.
    Ad ogni buon conto, dal combinato disposto  degli  artt.  1,  d-l.
 649/1994,  e 44 della legge 47/1985 discende che la sospensione opera
 anche a prescidere da una richiesta di parte, e  serve  a  creare  la
 condizione necessaria per l'operativita', (immediatamente successiva)
 del meccanismo procedimentale del condono; dunque le disposizioni che
 regolamentano  piu'  direttamente  tale meccanismo assumono rilevanza
 nel presente processo (e con esse le questioni  di  costituzionalita'
 che  le  investono)  nel  momento  stesso  in  cui  il  giudice  deve
 provvedere a sospendere (o meno) il processo.
    Come precisato poi dal giudice di legittimita', non ogni  processo
 per  illeciti  urbanistici  o  edilizi va sospeso, ma soltanto quelli
 relativi a  reati  suscettibili,  di  essere  estinti  attraverso  la
 procedura  amministrativa;  il  giudice  deve  dunque  esaminare,  ad
 esempio, il tempus commissi delicti, e nel far cio' deve osservare le
 norme contenute nel primo comma  dell'art.  1  del  decreto-legge  n.
 649/1994.  Tali norme assumono dunque a maggior ragione rilevanza nel
 presente processo.
    La norma di cui all'art. 38 della  legge  n.  47/1985  rileva  nel
 presente  processo  poiche' disciplina dell'effetto conclusivo, sotto
 il  profilo  penalistico,  del  meccanismo  del   condono   edilizio,
 avviatosi  con  la  sospensione  del processo: l'estinzione cioe' dei
 reati  urbanistici  ed  edilizi  contestati  nel  presente   giudizio
 all'imputato.
                 MOTIVI DI NON MANIFESTA INFONDATEZZA
    a) Violazione dell'art. 79.
    Il  "condono  edilizio"  si  configura  come  istituto di clemenza
 attraverso  il  quale  viene  meno,  limitatamente  a  fatti  tipici,
 commessi  in  un  circoscritto  periodo  di tempo, anteriore alla sua
 operativita', la pretesa punitiva dello Stato.
    Analizzandone il meccanismo operativo, la Corte costituzionale  si
 e' espressa (con la sentenza n. 369/1988) nel senso che tale istituto
 non   possa   essere  ricondotto  alla  figura  tipica  dell'amnistia
 condizionata, e introduca invece una causa atipica di estinzione  del
 reato.
    Il  "potere  di  clemenza" incontra dei limiti, anche procedurali,
 nella Carta costituzionale; tra essi quello, recentemente  posto  dal
 legislatore  costituzionale  con  la  revisione  dell'art.  79 (legge
 costituzionale 6 marzo 1992, n. 1): prevede la norma  che  l'amnistia
 sia  concessa  con  legge  deliberata a maggioranza dei due terzi dei
 componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione
 finale.
    L'assunto da cui muove questo pretore e' che il condono,  comunque
 lo   si  etichetti,  costituisce  forma  d'esercizio  della  generale
 potesta' di clemenza dello Stato, e debba percio' essere concesso con
 le forme dinanzi prospettate.
    Di  tali forme non e' rivestito evidentemente il decreto-legge con
 cui il  Governo  "riapre  i  termini"  del  condono  contenuti  nelle
 disposizioni di cui ai capi IV e V della legge n. 47/1985, estendendo
 l'effetto  estintivo  dei  reati  agli  illeciti  commessi fino al 31
 dicembre 1993.
    La questione appare non manifestamente infondata: a  ritenere  che
 l'esecutivo  sia  legittimato a dar vita, con decretazione d'urgenza,
 ad una  misura  generale  di  clemenza  che  si  distingua  solo  per
 fisionomia,  e  non  anche  per  effetti giuridici, dall'amnistia, si
 giungerebbe ad una sostanziale elusione del dettato costituzionale.
    Dal disposto dell'art. 79 della Costituzione emerge chiaramente la
 volonta' che l'emanazione di misure clemenziali generali, comportanti
 l'estinzione del reato, debba essere riservata all'apprezzamento  del
 Parlamento,  al quale soltanto e' rimessa la potesta' di limitare con
 tale estensione la pretesa punitiva pubblica.
    E dunque il termine "amnistia", contenuto nel citato art. 79,  non
 va   inteso  in  senso  strettamente  tecnico  (dando  cioe'  rilievo
 preminente  al  peculiare  meccanismo  operativo  dell'istituto),  ma
 ricondotto   ad   una   nozione   generale  di  misura  di  clemenza,
 caratterizzata da elementi "sostanziali"  tipici  (effetto  estintivo
 del  reato  limitato a fatti determinati, commessi in un circoscritto
 periodo di tempo, anteriore alla sua entrata in vigore) comuni  tanto
 alla tradizionale amnistia quanto al condono.
   Violazione  dell'art.  3,  anche in relazione agli artt. 9, secondo
 comma, 32, primo comma e 41, secondo comma.
    La  rinunzia  alla  pretesa  punitiva   da   parte   dello   Stato
 relativamente    a   determinati   reati,   comporta   un'inevitabile
 pregiudizio al  principio  di  uguaglianza;  essa  deve  ispirarsi  a
 criteri  di ragionevolezza sostanziale e "trovare giustificazione nel
 quadro  costituzionale  che  determina  il  fondamento  ed  i  limiti
 dell'intervento  punitivo dello Stato" (C. cost., sent. n. 369/1988),
 ed adeguato bilanciamento all'interno della gerarchia  dei  valori  e
 dei  beni costituzionalmente tutelati. Cio' a pena d'irragionevolezza
 e di ingiustificate disparita'.
    Con riguardo al condono edilizio del 1985 la Corte  costituzionale
 verifico' che l'eccezionale introduzione di una causa atipica di "non
 punibilita'"  e "non procedibilita'" per condotte recanti pregiudizio
 a fondamentali esigenze della collettivita', trovava  giustificazione
 nell'intento  di  "chiudere  un  passato d'illegalita' di massa" e di
 "porre sicure basi normative per la repressione futura di  fatti  che
 violano  fondamentali  esigenze"  quali il governo del territorio; la
 sicurezza dell'esercizio dell'iniziativa economica privata ed il  suo
 coordinamento  a  fini sociali; la funzione sociale della proprieta';
 la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico.
    E'  ritenuta  non  manifestamente  infondata   la   questione   di
 costituzionalita' concernente l'irragionevolezza delle norme che oggi
 reiterano,  a  distanza  di  nove  anni,  il  meccanismo  del condono
 edilizio: non si puo' infatti parlare piu'  di  eccezionalita'  della
 misura clemenziale, stante la sua riproposizione ciclica e l'ampiezza
 del  periodo  di tempo nell'ambito del quale e' destinata ad operare;
 ne' puo' nuovamente valere l'intento, gia' vanificato una  volta,  di
 chiudere con un passato di diffusa illegalita'.
    Appaiono  invece  compromessi nella materia edilizia, in virtu' di
 tale riproposizione, e  della  successiva  reiterazione  di  decreti-
 legge,  gli  aspetti  di  certezza,  uguaglianza  ed  obbligatorieta'
 (dell'azione  penale  e  della  pena)  che   informano   il   sistema
 costituzionale-penalistico.
    Deve  infine  osservarsi che le norme incriminatrici su cui incide
 il condono edilizio mirano a salvaguardare beni fondamentali  per  la
 collettivita':  a)  il  paesaggio, e dunque sia il razionale sviluppo
 urbanistico del territorio che la tutela del pregio naturalistico; b)
 la salute psico-fisica,  compromessa  particolarmente  in  zone  dove
 l'enormita'  del fenomeno dell'abusivisimo edilizio ed il conseguente
 degrado dei centri abitati sottrae all'individuo il diritto di vivere
 in un ambiente sano. La questione di costituzionalita'  sollevata  in
 riferimento   all'art.   3  della  Costituzione  appare  percio'  non
 manifestamente infondata anche quando involge l'aspetto del  corretto
 (o  meno)  bilanciamento tra le ragioni del nuovo "condono" (e cioe',
 in  base  alle  premesse  del  d.-l.  n.   649/1994,   il   "rilancio
 dell'attivita'   economica.   .   .   la   ripresa   delle  attivita'
 imprenditoriali. . . l'esigenza di semplificazione  dei  procedimenti
 in  materia  urbanistico-edilizia")  e  le ragioni di tutela dei beni
 sopra indicati.
    Considerando la questione secondo la prospettiva  del  divieto  di
 irragionevoli  disparita' di trattamento per situazioni meritevoli di
 pari tutela, si rileva che il nuovo (seppur limitato) sacrificio  dei
 beni  costituzionali  tutelati  dagli articoli 9 e 32 della Carta non
 pare   trovare   adeguata   giustificazione,   e   dunque   razionale
 bilanciamento  all'interno  del  quadro  costituzionale:  cio'  nella
 misura in cui, mentre non vengono  sanzionate  penalmente  le  offese
 arrecate a quei beni, ricevono invece un trattamento di favore alcune
 espressioni  della liberta' di iniziativa economica privata le quali,
 pur avendo "rango" costituzionale, tuttavia non possono, come  invece
 pare  nel  caso  di  specie,  contrastare con l'utilita' sociale e la
 dignita' umana.
    E' stata la stessa Corte costituzionale a definire in  particolare
 il  paesaggio  come  "valore  primario  dell'ordinamento"  (sentt. 21
 dicembre 1985, n. 359, 27 giugno 1986, n.  151),  ed  a  sottolineare
 come tutela di tale valore sia collocata "fra i principi fondamentali
 dell'ordinamento",  e  che il perseguimento di tale tutela presuppone
 necessariamente la comparazione  ed  il  bilanciamento  di  interessi
 diversi, in particolare degli interessi pubblici. . . (sent. 1 aprile
 1985 n. 94).